Ciao stelline, qui Marilena!
Allietiamo queste giornate pigre e tristi parlando di uno degli autori del Novecento che più apprezzo: John Steinbeck.
Premio Nobel per la Letteratura, quest'autore americano vanta una bibliografia abbastanza vasta di narrativa e saggistica. Conosciuto ai più per la sua opera più famosa, Furore (The Grapes of Wrath).
Ho pensato di fare un post su questo grandissimo autore perché ho letto ultimamente La Battaglia, sua opera del 1936, tradotta da Eugenio Montale e edita in Italia da Bompiani (come anche tutti i suoi altri titoli).
Questo libro parla dell'organizzazione di uno sciopero di braccianti in California, messo in piedi dal Partito rosso.
Sicuramente più un libro di riflessione che di denuncia, tacciato per propagandistico, prende meno rispetto agli altri forse a causa della traduzione abbastanza datata e la sospetta (ma sicura) censura. A quanto una nuova?
Ho cominciato a leggere Steinbeck qualche anno fa e ho iniziato proprio dal suo più famoso: Furore. Non vi nego che avevo timore di affrontare un monumento della letteratura come quest'uomo ma il momento era assai propizio: bloccata a casa da una caviglia fuori uso per almeno 20 giorni. Le domande che frullavano in testa erano tante: se fosse stato troppo fuori dalle mie corde? Se fosse stato troppo difficile? Se tanta fama si fosse rivelata tutta fuffa? Se non mi fosse piaciuto? L'unica soluzione era affrontarlo. Furore racconta il viaggio della famiglia Joad dall'Oklahoma alla California per tentar fortuna; Steinbeck lo racconta senza fronzoli, senza parole inutili e senza vicende di contorno, vera protagonista la cruda realtà. Furore è un libro che ti scava dentro, è un grappolo d'ira difficile da mandar giù. Appena cominciato non volevo finirlo, la sola idea che quel libro avesse una fine mi angosciava e la rimandavo ogni volta ma, ahimè, la fine è arrivata: rabbiosa e carica di furore. L'emozioni che dona non le si dimenticano facilmente.
Secondo libro di Steinbeck che ho affrontato è stato Uomini e topi. Di mole decisamente più piccola rispetto al primo. Se con Furore la pillola viene buttata giù in 600 e passa pagine, qui bastano poco più di 100 pagine per farci conoscere la storia tragica di due braccianti emigrati in California, la realtà ci viene sbattuta in faccia con violenza ed è il suo miglior titolo per cominciare a leggere qualcosa di suo.
Terzo libro letto è stato Vicolo Cannery. Diverso dai precedenti racconta la vita di abitanti e frequentatori del Vicolo, che in realtà esiste ed è uno stradone di 2 km. Sembra che non accada chissà cosa ma la sua scrittura spinge a continuarne la lettura, si vogliono conoscere i personaggi in ogni dettaglio. C'è un lato tragicomico molto marcato.
Sicuramente leggerò tutte le altre sue opere. Sto acquistando i suoi libri di volta in volta, spinta dalle sensazioni e dallo stato d'animo nel momento dell'acquisto perché sono fermamente convinta che una penna del genere la si godi meglio quando lo stato d'animo è più incline a ciò che racconta.
E voi? Pronti a leggerlo o a leggerne ancora?
Ho pensato di fare un post su questo grandissimo autore perché ho letto ultimamente La Battaglia, sua opera del 1936, tradotta da Eugenio Montale e edita in Italia da Bompiani (come anche tutti i suoi altri titoli).
Questo libro parla dell'organizzazione di uno sciopero di braccianti in California, messo in piedi dal Partito rosso.
Sicuramente più un libro di riflessione che di denuncia, tacciato per propagandistico, prende meno rispetto agli altri forse a causa della traduzione abbastanza datata e la sospetta (ma sicura) censura. A quanto una nuova?
Ho cominciato a leggere Steinbeck qualche anno fa e ho iniziato proprio dal suo più famoso: Furore. Non vi nego che avevo timore di affrontare un monumento della letteratura come quest'uomo ma il momento era assai propizio: bloccata a casa da una caviglia fuori uso per almeno 20 giorni. Le domande che frullavano in testa erano tante: se fosse stato troppo fuori dalle mie corde? Se fosse stato troppo difficile? Se tanta fama si fosse rivelata tutta fuffa? Se non mi fosse piaciuto? L'unica soluzione era affrontarlo. Furore racconta il viaggio della famiglia Joad dall'Oklahoma alla California per tentar fortuna; Steinbeck lo racconta senza fronzoli, senza parole inutili e senza vicende di contorno, vera protagonista la cruda realtà. Furore è un libro che ti scava dentro, è un grappolo d'ira difficile da mandar giù. Appena cominciato non volevo finirlo, la sola idea che quel libro avesse una fine mi angosciava e la rimandavo ogni volta ma, ahimè, la fine è arrivata: rabbiosa e carica di furore. L'emozioni che dona non le si dimenticano facilmente.
Secondo libro di Steinbeck che ho affrontato è stato Uomini e topi. Di mole decisamente più piccola rispetto al primo. Se con Furore la pillola viene buttata giù in 600 e passa pagine, qui bastano poco più di 100 pagine per farci conoscere la storia tragica di due braccianti emigrati in California, la realtà ci viene sbattuta in faccia con violenza ed è il suo miglior titolo per cominciare a leggere qualcosa di suo.
Terzo libro letto è stato Vicolo Cannery. Diverso dai precedenti racconta la vita di abitanti e frequentatori del Vicolo, che in realtà esiste ed è uno stradone di 2 km. Sembra che non accada chissà cosa ma la sua scrittura spinge a continuarne la lettura, si vogliono conoscere i personaggi in ogni dettaglio. C'è un lato tragicomico molto marcato.
Sicuramente leggerò tutte le altre sue opere. Sto acquistando i suoi libri di volta in volta, spinta dalle sensazioni e dallo stato d'animo nel momento dell'acquisto perché sono fermamente convinta che una penna del genere la si godi meglio quando lo stato d'animo è più incline a ciò che racconta.
E voi? Pronti a leggerlo o a leggerne ancora?